Il rigetto

Il trapianto consiste nel sostituire il fegato malato con quello sano, proveniente da un altro individuo, geneticamente differente. L’organismo riconosce tale differenza, identificando l’organo come un “corpo estraneo” da eliminare, e attiva pertanto una risposta immunitaria contro di esso. Tale fenomeno prende il nome di rigetto.
A seconda della modalità di insorgenza e del tipo di danno determinato sulla struttura epatica, può essere distinto in rigetto acuto e rigetto cronico.
Il rigetto acuto può avere un esordio più eclatante, in genere con ittero (ricomparsa del colore giallo degli occhi e della pelle), febbre, stanchezza più o meno marcata, anche se a volte il paziente può non presentare alcun sintomo.  Gli esami del sangue possono dimostrare un aumento delle transaminasi, della bilirubina, della fosfatasi alcallna, dei globuli bianchi.  Solo la biopsia epatica consente di porre una diagnosi definitiva di rigetto, oltre che di determinarne la gravità. Un episodio di rigetto acuto si verifica circa in un quarto dei pazienti nelle prime fasi dopo il trapianto, in genere nelle prime due settimane. È curabile nell’80% dei casi se riconosciuto prontamente.
Il rigetto cronico invece compare più tardivamente, nella maggior parte dei casi entro un anno dopo il trapianto, e si manifesta in genere con un incremento delle transaminasi e della GGT. Anche in questo caso la diagnosi definitiva può essere posta solo mediante una biopsia.
In genere la terapia di attacco consiste nella somministrazione di farmaci cortisonici per via endovenosa per alcuni giorni; in caso di resistenza alla terapia sono comunque disponibili farmaci ancora più potenti ed efficaci.
La somministrazione di tali farmaci richiede il ricovero in ambiente ospedaliero.
In rari casi la terapia medica risulta inefficace e la situazione progredisce tanto da rendere necessario il ritrapianto.
LA BIOPSIA EPATICA
Allo scopo di rendere più agevole l’esecuzione di una biopsia (ovvero del prelievo di un frammento di fegato mediante un apposito ago) al momento del trapianto, se l’anatomia lo permette, si lascia una piccola “finestra” d’accesso al fegato (“refend”), che potrà essere utilizzata, nei primi tempi dopo il trapianto, per effettuare le biopsie.
Nel caso non sia possibile lasciare il “refend”, oppure in caso di necessità di biopsia a distanza dal trapianto, la procedura dovrà essere eseguita con una puntura effettuata sotto controllo ecografico, in anestesia locale.
In entrambi i casi il rischio maggiore è il sanguinamento. È per questo che la procedura viene eseguita, se il paziente è stato dimesso, in regime di Day Hospital, con la necessità di rimanere sotto osservazione per qualche ora.